Pensioni: cosa prevede il Def per il personale della scuola
Il 27 settembre è stata approvata all’unanimità dal Consiglio dei ministri la nota di aggiornamento al Def su un tema tanto atteso e dibattuto: le pensioni. Andiamo a vedere cosa c’è di nuovo.
Niente quota 41
Gli scontenti dovranno aspettare il 2019 per vedere provvedimenti riguardanti la tanto attesa quota 41, rimandata ma non accantonata a detta del Ministro Di Maio.
Secondo quanto previsto nella nota parliamo invece oggi di quota 100: i lavoratori devono aver compiuto 62 anni e devono avere all’attivo almeno 38 anni di contributi per andare in pensione.
Slitta, invece, la possibilità di lasciare il lavoro semplicemente con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età. Ad esempio, chi è nato nel 1958 e ha cominciato a lavorare a 20 anni, quindi nel 1978, dovrà aspettare il 2020 per la pensione.
Unico caso in cui varrà la quota 41 è quello dei lavoratori precoci, che hanno iniziato a lavorare prima dei 19 anni – in particolari situazioni di difficoltà, come la disoccupazione o la disabilità di un familiare: questi potranno lasciare il lavoro indipendentemente dall’età anagrafica.
I malumori
Moltissimi coloro che si dicono non soddisfatti del provvedimento:
- gli insegnanti sessantenni che hanno iniziato attorno ai 20 anni di età, magari anche in ruolo poco dopo, che potrebbero far valere gli anni mancanti come disoccupazione;
- i laureati in età da pensione, che hanno iniziato a lavorare intorno ai 23-24 anni, che potrebbero far valere gli anni di università o servizio militare, ma dovranno comunque aspettare di compiere gli anni, pur avendo i 41 anni di contribuzione.
L’opzione-donna
Il settore scuola è prevalentemente femminile, per questo è stata introdotta la cosiddetta opzione-donna.
È possibile, infatti avere la pensione per le donne dipendenti con 35 anni di contributi ed almeno 57 anni e 3 mesi di età anagrafica, o 58 anni e 3 mesi per le lavoratrici autonome.
Cosa comporta questa opzione?
Il ricalcolo dell’assegno di quiescenza, ridotto di circa il 20-30%. Ad esempio, su una pensione potenziale di 1.500 €, si otterrà un assegno di circa 1.110 €, che rimarrà invariato.
Un’opzione, introdotta con la Legge Maroni 242 del 2004 e ripresa dalla Legge Fornero del 2011, che verrà probabilmente scelta da molte donne.