L’accordo del 30 Novembre tra sindacati e Governo
Erano molto attese le trattative tra i Sindacati e il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, riguardanti l’accordo per il rinnovo dei contratti pubblici. Nelle varie fasi si sono alternati momenti di ottimismo, rassicuranti su una buona intesa, ad altri di incertezza, rispetto alla convinzione di poter chiudere subito questa prima partita. Nella tarda serata del 30 novembre, dopo una giornata sicuramente intensa, arrivava la notizia tanto attesa: l’accordo tra le parti era stato siglato.
Tuttavia, possono finalmente esultare i lavoratori del pubblico impiego per il risultato portato a casa grazie ai sindacati confederali?
Il documento contiene una premessa e l’incipit di questa introduce immediatamente il soggetto: “I lavoratori”, definiti “il motore per il buon funzionamento della pubblica amministrazione”. Certamente, per non cadere nella retorica, non basta identificare i protagonisti della questione, se poi, nel corpo del testo, non sia effettivamente dato loro il giusto ruolo.
C’è dunque un effettivo capovolgimento di fronte, che porta in primo piano lavoratori e rappresentanze sindacali, rispetto alla politica precedente che privilegiava le scelte unilaterali del governo?
L’ex Primo Ministro Matteo Renzi, già nell’autunno del 2014 in occasione della legge di stabilità, dichiarava la sua linea politica rispetto all’azione sindacale, escludendola dalle trattative in quanto, secondo l’ex Premier, le leggi non si trattavano con i sindacati, ma all’interno del Parlamento. L’accordo del 30 novembre, in verità, dichiara a chiare lettere l’intento di “una ripresa delle relazioni sindacali”, e utilizzando il termine “ripresa” ammette, nel contempo, che queste abbiano avuto una sospensione, e, di conseguenza, insiste sulla necessità di voler “utilizzare in modo coordinato e condiviso tutti gli strumenti necessari per segnalare una discontinuità con il passato“.
Possiamo, dunque, affermare che l’intesa contenga una chiara svolta di posizione: l’azione di riforma della pubblica amministrazione non può prescindere dal ruolo attivo del sindacato, portavoce dei diritti dei lavoratori e garante della “coesione sociale”.
I tentativi di innovazione e di riforma della P.A., a partire dalla legge “Brunetta” 150/2009 per arrivare alla legge “Buona Scuola” 107/2015, hanno introdotto norme che, troppo spesso, sono andate in contrasto con le materie attinenti alla contrattazione: questo ha creato confusione, malessere, irrigidimenti del sistema, contenziosi. Era ora di mettere fine a questa interferenza su una materia che può, e deve essere, solo definita attraverso lo strumento contrattuale! Perché il tavolo del contratto è il solo, in un sistema democratico, che può garantire regole civili; perché lì siedono i rappresentanti dei lavoratori e il datore stesso; perché quello deve essere il luogo dove le parti in causa si confrontano e regolano il loro rapporto. Ed era ora, era davvero ora, che il governo si impegnasse formalmente “a rivedere gli ambiti di competenza, rispettivamente della legge e della contrattazione, privilegiando la fonte contrattuale, quale luogo naturale della disciplina del rapporto di lavoro, dei diritti e delle garanzie dei lavoratori, nonché degli aspetti organizzativi a questi direttamente pertinenti”.
Il Governo dunque aveva accettato, e firmato, di prendere questi impegni: viene ribadito, in un altro passo dell’accordo quadro, l’impegno in un “intervento legislativo”, in applicazione della legge delega, prima della quale, come previsto dallo stesso testo normativo e ribadito in calce all’accordo, si dovrà affrontare un “preventivo” confronto con le Organizzazioni Sindacali, “volto a promuovere il riequilibrio a favore della contrattazione, del rapporto fra le parti che disciplinano il rapporto di lavoro”.
I risultati raggiunti
Con quella firma del 30 novembre Governo e sindacati si sono impegnati, insieme, ad “individuare ulteriori ambiti d’esercizio della partecipazione sindacale”, sempre definiti attraverso i “contratti collettivi”; ad “individuare nuovi sistemi di valutazione”; a “modificare e semplificare l’attuale sistema dei fondi di contrattazione di II livello”; questi, ed altri ancora, sono impegni firmati e resi pubblici, non sussultati nelle ovattate stanze dei poteri.
C’è poi un’intesa sulla parte economica… pochi soldi… irrisori rispetto ad un rinnovo che si attende da quasi otto anni: questa è l’obiezione più immediata. Tuttavia questa è una cifra in linea con i recenti rinnovi contrattuali del settore privato. O forse i lavoratori del pubblico impiego pensano che in un paese democratico, e garante delle pari opportunità, potesse esser loro concesso il privilegio di aumentare del doppio il tasso di inflazione rispetto al concittadino metalmeccanico? No! I lavoratori del pubblico impiego non si sono mai sentiti una casta, come troppo spesso l’opinione pubblica è stata manovrata, affinché li etichettasse come tali.
Qualcuno obietterà che per gli 85,00 €, attualmente, non ci sono le risorse nella legge di Bilancio 2017… e così è! Tuttavia il governo, il 30 novembre, si è impegnato, con atto scritto, a garantire che con le leggi di bilancio fino al 2018 “saranno stanziate ulteriori risorse finanziarie che consentano di definire incrementi contrattuali… non inferiori a 85,00 € medi mensili”: su quell’aggettivo “medi” ci sarà da lavorare, nei singoli tavoli di rinnovo dei contratti per comparti, ma l’equilibrio reddituale è da sempre stato un obiettivo sindacale!
Per concludere, le voci, che si alzavano, e che vedevano nell’accordo del 30 novembre solo una mossa strategica pre-referendaria del governo per accaparrare il consenso; solo un dovuto aumento economico che mortifica i lavoratori del settore; solo un errore dei sindacati confederali, frementi di ingraziarsi il potere; ebbene, avranno queste voci la capacità di diventare loro stesse le protagoniste di un nuovo rilancio della forza della contrattazione e del ripristino del potere di acquisto?
Se così sarà il 30 novembre non sarà un giorno significativo, al contrario, sarà un accordo storico.
di Fabiola Ortolano